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Per una clinica strutturale dei legami di coppia

Aggiornamento: 5 giorni fa

La riabilitazione del maltrattante con il metodo psicosomatico strutturale. Riflessioni sui legami di coppia patologici


La riabilitazione del maltrattante con il metodo strutturale. Riflessioni sui legami di coppia patologici


Il CUAV avviato dalla Sezione Napoli Porto del Centro Antiviolenza Margherita ODV, che ha sede operativa al Centro direzionale, offre un percorso di riabilitazione del maltrattante che segue i principi di un metodo di riabilitazione psicologica che possiamo denominare di tipo psicosomatico strutturale.

 

Il metodo psicosomatico strutturale si colloca all'interno della corrente psicologica di matrice fenomenologico esistenziale.

Posso sinteticamente dire che questo Metodo inquadra i fenomeni relazionali, come quello della violenza di genere, intrafamiliare e la violenza sociale, a partire dal contesto socio culturale di provenienza dei soggetti coinvolti.


Ciascun contesto socio culturale è portatore di specifici valori, di regole di funzionamento relazionale e sociale, e definisce quali caratteristiche debba possedere una famiglia ed una coppia cosiddetta normale, una donna ed un uomo normali, ovvero funzionali al loro contesto sociale.


Quando noi correggiamo comportamenti che definiamo patologici perché contrari alle regole di civile convivenza che esistono a livello giuridico nel nostro paese, ci riferiamo, pur non sempre esplicitandole, alle caratteristiche che debba avere un soggetto cosiddetto normale, una famiglia cosiddetta normale, sana, funzionale, una coppia sana.


Per Freud, l’uomo sano è colui che ha raggiunto un buon equilibrio tra le istanze psichiche — Es, Io e il Super-Io — e riesce a vivere in modo realistico e soddisfacente, accettando le proprie pulsioni senza esserne schiavo. Freud riassume questo ideale nel celebre motto: “Là dove era l’Es, deve subentrare l’Io.”. Ovvero, la salute consiste nella conquista della consapevolezza e dell’autonomia interiore. 

Per Freud, un individuo sano è “capace di amare e lavorare” (“lieben und arbeiten”). Anna Freud amplia la prospettiva: la salute si misura nella forza dell’Io, nella capacità di adattarsi alla realtà (quindi se la realtà impone con norme giuridiche, consuetudini della comunità, che sia reato la violenza verbale nelle relazioni, un soggetto sano deve adattarsi a questo contesto e il suo linguaggio non può essere violento). L’uomo sano tollera le frustrazioni e mantiene coesione interna anche di fronte alle difficoltà. Anche sotto stress, una persona sana non reagisce con la violenza. Controlla la sua rabbia, la sua frustrazione.


Anche nel Modello psicosomatico strutturale è sano chi riesce a stare nelle regole della comunità ovvero del contesto storico sociale in cui vive. Per esempio, nell'odierno contesto giuridico italiano, è considerato un reato maltrattare fisicamente e psicologicamente un partner nella coppia. Ed è a questa e ad altre regole che l’uomo che voglia rimanere nella funzionalità sociale deve adattarsi. Ma questo Modello non ritiene che la sublimazione della pulsione sia la base per l’adattamento al legame sociale. Questo Modello ha come orizzonte di senso il costrutto di intersoggettività, che allarga di molto il piano di comprensione della straordinaria complessità del comportamento umano. Per ora possiamo dire che l'uomo sano è un soggetto capace di stare nella posizione soggettiva e salire in una dimensione più alta di sintesi intersoggettiva con l'altro che determina una relazione di crescita, in cui entrambi si sentono bene, appagati, felici.


Nel Modello psicosomatico strutturale, il comportamento violento è considerato patologico non solo perché contrario alle regole giuridiche di uno specifico contesto sociale in cui vive il soggetto maltrattante, ma anche per l'idea di uomo psicologicamente sano proposto da tale modello. Ovvero quello che l’agito comportamentale violento, che è diventato automatico poiché non passa per una mediazione mentale consapevole delle emozioni, delle motivazioni e delle scelte che lo determinano, è espressione di psicopatologia.


L’uomo sano è consapevole delle sue emozioni, le modula attraverso una riflessione su se stesso e non le agisce col comportamento istintivo di attacco o fuga. Questa formula è diversa dalla formula di matrice psicodinamica.


Nel modello psicosomatico strutturale, lo schiaffo è sia patologico perché le regole di un determinato contesto socio culturale dispongono che non sia possibile offendere fisicamente un interlocutore, sia perché tale schiaffo per rabbia, per esempio, è un'azione che sostituisce una emozione non integrata nel mentale del soggetto. E’ una azione spontanea, una risposta automatica, che non è mediata da un riflessione su se stessi. 


Il modello riabilitativo che applichiamo nel CUAV del Centro Antiviolenza Margherita, non è, quindi, un corso di buone maniere nella coppia e nella famiglia oppure un corso che sintetizzi le regole del codice penale che definisce quali comportamenti siano reato nel nostro contesto.

Noi possiamo spiegare ad un uomo o una donna violenta di non picchiare i figli o il partner, perché è un reato nel nostro contesto giudiziario, ma questo tipo di insegnamento non è sufficiente a riabilitare.


Il modello psicosomatico strutturale lavora su vari livelli per fasi per far sì che il soggetto risponda alle regole dei legami sociali funzionali.

Durante le sedute offerte presso le sedi del nostro CAV, il cliente, che nel contesto della di coppia o sociale agiva in maniera violenta, è spinto ad una riflessione approfondita dei suoi comportamenti, ed in particolar modo i racconti sugli agiti violenti vengono collegati ad uno stato emotivo cosiddetto di base. Vengono analizzate le discriminanti somatiche di tale stato emotivo di base attraverso una analisi del linguaggio corporeo ed in particolar modo del distretto facciale che lo psicologo osserva durante la seduta. 

Anche la postura, i movimenti del soggetto e la qualità della respirazione vengono analizzati e messi in relazione allo stato emotivo di base.

L’utente viene inoltre attentamente valutato rispetto al grado di sviluppo dei quattro linguaggi di comunicazione, ovvero il linguaggio corporeo, emotivo, fantastico ed infine il linguaggio razionale. Successivamente si lavora sui linguaggi che il cliente ha sviluppato di meno con la finalità di potenziarli ed in tal modo rendere la comunicazione del cliente più efficace. Il soggetto anziché reagire a livello del sé spontaneo, inizia a riflettere sulle situazioni e sulle sue reazioni emotive, e si chiede, per esempio:


Perché sono estremamente geloso/a? Perché desidero controllare? Perché in questa situazione sento la voglia di dare uno schiaffo? Cosa provo emotivamente quando sono geloso? Sono spaventato, arrabbiato, triste? Come sta il mio corpo adesso? Dove sento tensioni nel corpo? Cosa dicono queste tensioni corporee del mio stato emotivo?


Il soggetto in questo processo sostituisce all’agito (cosiddetto acting out) un processo di riflessione su se stesso a partire dallo stato somatico ed emotivo che blocca l’agito spontaneo violento (dunque a partire dalla propriocezione), che gli impedisce di gettare un oggetto contro il partner, o i figli, per esempio, o non lo fa urlare terrorizzando i familiari. Lentamente tutti i comportamenti del soggetto passano per il sé riflesso e si instaurano nuove modalità comportamentali funzionali. 


Nella fase intermedia del percorso riabilitativo psicologico, dunque, ci si concentra sulla integrazione dei linguaggi. Questa consente di capire in che modo la manifestazione comportamentale violenta si traduca in uno schema che collega pensieri, fantasie, sogni, esperienze somatiche ed emozioni del soggetto in questione. Si arriva ad una messa in evidenza di schemi che caratterizzano quel determinato soggetto, si arriva ad analizzare delle regole di funzionamento. Analizzarle, e poiché disfunzionali, sostituirle con regole funzionali ad una relazione di crescita, ed è qui che il costrutto di intersoggettività ritorna come orizzonte di senso del modello psicosomatico strutturale.


Attraverso l'integrazione dei linguaggi, il cliente riduce drasticamente la manifestazione comportamentale violenta ponendola come si dice in gergo sotto soglia, ovvero ad un livello di risposta emotiva fisiologica, tollerabile per se stesso e per l’ambiente. Con questo tipo di lavoro psicologico, le emozioni trovano un canale di espressione integrato e libero. Il soggetto impara a dire al partner ‘Sono arrabbiato con te per questo determinato motivo’. Ed a chiedere al partner un suo contributo all’analisi della situazione. L'intersoggettività è quindi un costrutto che crede possibile che tra le persone possa esserci un confronto pacato sulla lettura delle situazioni importanti, e trovare un accordo, una visione comune, in cui entrambi crescano come esseri umani. Oppure, ove non sia possibile arrivare ad una visione comune, rispettare la differenza di visioni soggettive sul problema e rimanere in relazione attraverso un rispettoso silenzio.

Questo processo che stiamo descrivendo è un processo di apprendimento continuo fondato su relazioni di crescita. Io e te cresciamo come persone attraverso la relazione, cioè attraverso un pacato ed approfondito confronto sulle questioni importanti della vita.


La coppia, come la famiglia è, come dimostra la psicologia clinica, un fenomeno molto complesso dove entrambi nella coppia e tutti nella famiglia concorrono alla formazione di fenomeni patologici. Sono sistemi che possono essere sani o patologici.

Nella coppia anche l’abusato ha scelto di rimanere in quella posizione disfunzionale alla sua crescita psicologica e disfunzionale alla relazione con l'altro .

L’abusato concorre al fenomeno patologico. Lo vediamo spesso nelle denunce, uno dei due denuncia gli abusi, poi torna sui suoi passi, vuole ricongiungersi con il maltrattante, ha un ardente desiderio di essere abbracciato da chi lo aveva colpito con violenza.

Possiamo parlare di ruoli reciproci. Il modello della terapia cognitiva analitica di Ryle and Kerr li ha descritti in modo molto puntuale. Il modello psicoanalitico freudiano, fa riferimento al masochismo ed alla coppia sado-masochista.

Capiamo bene che in psicologia il concetto che siano entrambi i soggetti a mantenere in piedi regole di funzionamento patologico basate sulla violenza e’ assodato da tempo. 

Non è come, per esempio, in un rapimento, per capirci. Se io dovessi essere rapita, messa in uno scantinato con la catena al collo e sottoposta alle vessazioni di chi mi ha rapito, allora possiamo parlare di soggetto che subisce passivamente l’abuso.


E qui ritorniamo al protocollo riabilitativo che lavora anche sulle regole di funzionamento della coppia e non solo del singolo, e sulle regole di funzionamento della famiglia di provenienza del maltrattante, dal momento che è nella famiglia di provenienza che si apprendono le regole di funzionamento relazionale e sociale.


Il nostro CUAV offre anche l’orientamento al lavoro perché riteniamo che nel contesto del lavoro il soggetto si eserciti ad essere funzionale socialmente e la stabilità di lavoro concorra alla stabilità emotiva. Nel Modello psicosomatico strutturale il lavoro fa parte del progetto di vita, ha una parte rilevante nel dare senso alla vita. Quindi nel CUAV da me diretto nel percorso riabilitativo per l'uscita dai comportamenti violenti è incluso molto spesso sia il bilancio di competenze sia un percorso di orientamento al lavoro.


Sui tempi della riabilitazione va pure spesa una parola. Le disposizioni per pena sospesa sono di 6 mesi di riabilitazione due volte a settimana. Dobbiamo chiederci, sono 6 mesi un tempo sufficiente a riabilitare? Quasi sempre non lo sono. Ma rappresentano un buon inizio, una apertura al discorso riabilitativo di lungo periodo, che il soggetto, conclusi i 6 mesi obbligatori, può scegliere liberamente di continuare.


Per ultimo, ma non di poco conto, voglio spendere qualche parola sulla sigla CUAV, Centro per UOMINI autori di violenza. Questa sigla è imprecisa poiché intanto nei CUAV vengono trattate anche le donne con pena sospesa. Questa sigla sintetizza un fenomeno, la criminalizzazione di genere sui mass media e nel linguaggio comune. Circola questo pensiero che gli uomini siano soggetti ad una cultura machista, patriarcale, che è tramontata da qualche secolo, e lo hanno ribadito alcuni intellettuali in televisione, senza successo. Il fenomeno del femminicidio non è frutto della cultura patriarcale. Questo collegamento è una invenzione di cronaca nera.

Si tratta di un fenomeno che si presenta all'interno di una assenza di un modello familiare in sostituzione del tramontato modello patriarcale ed all'interno di un contesto socio economico che mantiene in piedi un mercato del lavoro anti familiare.


Il mercato del lavoro che è anti familiare, costringendo il nucleo famiglia alla pressione di una cronica instabilità, non consente alcuna seria programmazione sul futuro di una coppia e di una famiglia, non protegge la donna lavoratrice vulnerabile nel momento in cui mette al mondo un bambino. La cronica instabilità sociale determina uno stress psicologico elevato sui singoli componenti del gruppo famiglia. Sfalda i legami sociali.


Il welfare state ridotto all'osso determina stress inaudito sul nucleo famiglia. Se non ci sono asili nidi o il tempo pieno alle elementari, se le scuole pubbliche chiudono 3 mesi e mezzo in estate, questi elementi concreti e determinati da decisioni politiche scellerate, costringono la donna ad una prolungata assenza dal mercato del lavoro ed una conseguente impossibilità di rientrarvi cresciuta la prole e ad una inevitabile dipendenza da un marito e/o dalle famiglie di origine della coppia. I centri antiviolenza e le case rifugio sono finanziati poco e male. Una donna che ha capito che voglia separarsi da un uomo violento, dove va in Italia, senza lavoro e senza sostegno economico?


Ed un uomo violento o una donna violenta per effetto di turbe psichiatriche in Italia non riescono a ricevere alcun aiuto psicoterapico nei centri di igiene mentale, dove per lo piu' vengono dispensati farmaci, ma i farmaci non sono sufficienti a curare e la psicoterapia ha tempi lunghi. Lo Stato non vuole finanziare la presa in carico lunga di un percorso psicoterapico individuale. Questo è un problema noto a chi lavora in psichiatria, dove si punta quasi sempre e solo al farmaco, ma il farmaco tampona e non risolve il problema.

La banalizzazione mediatica sul femminicidio oscura le responsabilità politiche sul fenomeno della violenza di genere.

E banalizza la perversione, relegandola a fenomeno straordinario, ma Freud ha ben spiegato che la perversione ci abita. Anche il linguaggio degli esperti chiamati a parlare in TV è volgare, si parla, per esempio di narcisismo maligno che è un termine di moda che non ha nulla a che vedere con la ricerca psicologica clinica sui fenomeni della violenza.


Assistiamo attraverso il linguaggio mediatico ad una sorta di ideologia della coppia come fenomeno relazionale cristallizzato, come se nella coppia esista chi solo comandi, chi solo abusi e chi solo obbedisca e chi solo subisca. Non è cosi, sappiamo benissimo che non è cosi banale la questione e ho tentato di ripercorrere nel mio ragionamento la questione attorno alla necessità di offrire percorsi che riguardino la dimensione relazionale del fenomeno della violenza e di pensarli in un quadro politico che sia chiamato ad una responsabilità sulla tenuta sociale.


ree

 
 
 

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