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Per una clinica strutturale dei legami di coppia

  • Immagine del redattore: Nora
    Nora
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 8 min

La riabilitazione del maltrattante con il metodo strutturale. Riflessioni sui legami di coppia patologici


Il CUAV avviato dal Centro Antiviolenza Margherita che ha sede operativa al Centro direzionale offre un percorso di riabilitazione del maltrattante che segue i principi del metodo di riabilitazione strutturale integrato di Giovanni Ariano.

 

Il metodo strutturale integrato si colloca all'interno della corrente psicologica di matrice fenomenologica esistenziale.

Posso sinteticamente dire che il Metodo strutturale integrato inquadra i fenomeni relazionali, come quello della violenza relazionale, intrafamiliare e la violenza sociale, a partire dal contesto socio culturale di provenienza dei soggetti coinvolti e da una analisi del linguaggio corporeo ed emotivo sia della vittima sia del maltrattante.


Il contesto socio culturale è portatore di specifici valori, di regole di funzionamento sociale, e definisce cosa debba essere una famiglia, cosa sia una coppia, cosa sia una donna, cosa sia un uomo.


Quando noi correggiamo comportamenti che definiamo patologici perché contrari alle regole di civile convivenza che esistono ad un livello giuridico nel nostro paese, ci riferiamo, pur non sempre esplicitandole, alle caratteristiche che debba avere una famiglia cosiddetta sana, una coppia sana, un uomo ed una donna sani.

A qualcuno o a molti in questa sala, può sembrare scontato che in psicologia si abbia una precisa idea di cosa sia un uomo sano, o di cosa sia una coppia o una famiglia cosiddetta sana, ma non è così. 

Molti modelli di psicologia riabilitativa in verità lavorano su un modello negativo, ovvero definiscono sano chi non presenta sintomi ascrivibili ad una diagnosi psichiatrica. Ma questo, vi renderete conto, è riduttivo e, dal nostro punto di vista, totalmente insufficiente nel discorso della correzione di comportamenti e relazioni di coppia e familiari disfunzionali.


Per i freudiani, per esempio, l'uomo sano è colui che sublima il godimento pulsionale, colui che nell’incarnare la spinta della pulsione che è acefala, ovvero irrazionale, liberata senza regole diviene distruttiva ed autodistruttiva (pertanto rischiosa per la comunità), fa sintesi con la realtà e si adatta per vivere tale spinta senza in sostanza impattare negativamente il sociale. Per i freudiani l’uomo sano riesce a stare nelle regole del sociale attraverso la sublimazione del godimento pulsionale e, secondo i lacaniani, operando ad un livello del desiderio. L’essere umano puo’ sublimare il pulsionale attraverso le attivita’ che lo appassionano. Il punto della psicoanalisi mi sembra chiaro essere questo.


Anche nel modello strutturale integrato è sano chi riesce a stare nelle regole della comunità ovvero del contesto storico sociale in cui vive. Per esempio, nell'odierno contesto giuridico italiano, è considerato un reato maltrattare fisicamente un partner nella coppia. Ed a questa ed altre regole che l’uomo che voglia rimanere nella sanità mentale deve adattarsi.

Ma questo modello non parla di sublimazione e desiderio come basi per l’adattamento al legame sociale. Questo modello ha come orizzonte di senso il costrutto di intersoggettività, che allarga di molto il piano di comprensione della straordinaria complessità del comportamento umano sul quale ritornerò brevemente in conclusione.


Nel modello strutturale, il comportamento violento è considerato patologico NON solo perché contrario alle regole giuridiche di uno specifico contesto sociale in cui vive il soggetto maltrattante, ma anche per l'idea di uomo psicologicamente sano proposto da tale modello.

Ovvero quello che l’agito comportamentale violento che è diventato automatico e non riflesso, poiché non passa per una mediazione mentale consapevole delle emozioni che lo determinano è espressione di psicopatologia. L’uomo sano è consapevole delle sue emozioni, le modula con il sé riflesso e non le agisce col comportamento istintivo di attacco o fuga. Questa formula e’ diversa dalla formula di matrice psicodinamica.


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Nel MSI lo schiaffo è sia patologico perché le regole di un determinato contesto socio culturale dispongono che non sia possibile offendere fisicamente un interlocutore, sia perché tale schiaffo per rabbia, per esempio, è un'azione che sostituisce una emozione non integrata nel mentale del soggetto. E’ una azione spontanea, che non passa per il se riflesso. Cioè non è mediata da un ragionamento. E’ una risposta automatica. Quindi il modello riabilitativo che applichiamo nel CUAV del Centro Antiviolenza Margherita, non è un corso di buone maniere nella coppia e nella famiglia oppure un corso che sintetizzi le regole del codice penale che definisce quali comportamenti sono reato nel nostro contesto.

Tu puoi dire ad un uomo o una donna violenta di non picchiare i figli o il partner, perché è un reato nel nostro contesto, ma questo raccomandare non è sufficiente a riabilitare. Tale modello lavora su vari livelli e per fasi per far sì che il soggetto risponda alle regole dei legami sociali funzionali.


Durante le sedute, il cliente che nel contesto della di coppia o sociale agiva in maniera violenta,  è spinto ad una riflessione approfondita dei sintomi, e ciascuna manifestazione comportamentale ed in particolar modo i racconti sugli agiti violenti vengono collegati ad uno stato emotivo cosiddetto di base. Vengono analizzate le discriminanti somatiche di tale stato emotivo di base attraverso una analisi del linguaggio corporeo ed in particolar modo del distretto facciale che lo psicologo osserva durante la seduta. 

Anche la postura ed i alcuni movimenti del soggetto possono essere analizzati e messi in relazione allo stato emotivo di base.

L’utente viene inoltre attentamente valutato rispetto al grado di sviluppo dei quattro linguaggi di comunicazione, ovvero il linguaggio corporeo, emotivo, fantastico ed infine il linguaggio razionale. Successivamente si lavora sui linguaggi che il cliente ha sviluppato di meno con la finalità di potenziarli ed in tal modo rendere la comunicazione del cliente più ampia e raffinata. Il soggetto anziche’ reagire a livello del se spontaneo, inizia a riflettere sulle situazioni e sulle sue reazioni emotive, e si chiede, per esempio, Perche’ in questa situazione sono estremamente geloso/a? Perche’ in questa situazione desidero controllare? Cosa provo emotivamente quando sono geloso, provo paura, rabbia, tristezza?

Il soggetto in questo processo sostituisce all’agito un processo di riflessione su se stesso che blocca l’agito spontaneo violento, che gli impedisce di gettare un oggetto contro il partner, o i figli, per esempio, o non lo fa urlare terrorizzando i familiari. Lentamente tutto il comportamento del soggetto passa per il se riflesso e si instaurano nuove modalita’ comportamentali. 

Nella fase intermedia del percorso psicologico, dunque, ci si concentra sulla integrazione dei linguaggi. Questa consente di capire in che modo la manifestazione comportamentale violenta si traduca in uno schema che collega pensieri, fantasie, sogni, esperienze somatiche ed emozioni del soggetto in questione. Si arriva ad una messa in evidenza di schemi che caratterizzano quel determinato soggetto, si arriva ad analizzare delle Regole di funzionamento. Analizzarle, e poiché disfunzionali, a sostituirle con regole funzionali ad una relazione di crescita, ed è qui che il costrutto di intersoggettività ritorna come orizzonte di senso del modello strutturale.

Attraverso l'integrazione dei linguaggi, il cliente riduce drasticamente la manifestazione comportamentale violenta ponendola come si dice in gergo sotto soglia, ovvero ad un livello di risposta emotiva fisiologica, tollerabile per se stesso e per l’ambiente. Con questo tipo di lavoro psicologico, le emozioni trovano un canale di espressione integrato e libero. Il soggetto impara a dire al partner sono arrabbiato con te per questo motivo. Ed a chiedere al partner un suo contributo all’analisi della situazione. L'intersoggettività è quindi un costrutto che crede possibile che tra le persone possa esserci un confronto pacato sulla lettura delle situazioni importanti, e trovare un accordo, una visione comune, in cui entrambi crescono come esseri umani. Oppure, ove non sia possibile arrivare ad una visione comune, rispettare la differenza di visioni soggettive sul problema e rimanere in relazione attraverso un rispettoso silenzio.

Questo processo che stiamo descrivendo è un processo di apprendimento continuo fondato su relazioni di crescita. Io e te cresciamo come persone attraverso la relazione, cioè attraverso un pacato ed approfondito confronto sulle questioni importanti della vita.


La coppia, come la famiglia è, come dimostra la psicologia clinica, un fenomeno molto complesso dove entrambi nella coppia e tutti nella famiglia concorrono alla formazione di fenomeni patologici. Sono sistemi che possono essere sani o patologici.

Nella coppia anche l’abusato ha scelto di rimanere in quella posizione disfunzionale alla sua crescita psicologica e disfunzionale alla relazione con l'altro .

L’abusato concorre al fenomeno patologico. Lo vediamo spesso nelle denunce, uno dei due denuncia gli abusi, poi torna sui suoi passi, vuole ricongiungersi con il maltrattante, ha un ardente desiderio di essere abbracciato da chi lo aveva colpito con violenza.

Possiamo parlare di ruoli reciproci. Il modello della terapia cognitiva analitica di Ryle and Kerr li ha descritti in modo molto puntuale. Il modello psicoanalitico freudiano, fa riferimento al masochismo ed alla coppia sado masochista.

Capiamo bene che in psicologia il concetto che entrambi i soggetti mantengano regole di funzionamento patologico basate sulla violenza è assodato da tempo. 

Non è come, per esempio, in un rapimento, per capirci. Se io dovessi essere rapita, messa in uno scantinato con la catena al collo e sottoposta alle vessazioni di chi mi ha rapito, allora possiamo parlare di soggetto che subisce passivamente l’abuso, in tutti gli altri casi no.


E qui ritorniamo al protocollo riabilitativo che lavora anche sulla coppia e non solo sul singolo, e sulla famiglia di provenienza dove si sono instaurate quelle regole di funzionamento patologico. 


La mediazione con il partner che coabitava, nella ipotesi di una coppia che voglia ritornare insieme dopo un codice rosso, è fondamentale.

Il lavoro sulla famiglia di origine (da dove provengono modelli comportamentali che gli autori di violenza e chi subisce violenza hanno appreso) e sul nucleo neo formato, se appunto entrambi non vogliano rinunciarvi a tale nucleo, e’ fondamentale nel percorso riabilitativo.

Il CUAV a nostro avviso deve sempre offrire, dopo il lavoro sul singolo, anche un lavoro sulla coppia e sul gruppo famiglia. 


Sui tempi della riabilitazione va pure spesa una parola. Le disposizioni per pena sospesa sono di 6 mesi di riabilitazione due volte a settimana. Dobbiamo chiederci, sono 6 mesi un tempo sufficiente a riabilitare? Quasi sempre non lo sono. Ma rappresentano un buon inizio, una apertura al discorso riabilitativo di lungo periodo, che il soggetto, conclusi i 6 mesi obbligatori, può scegliere liberamente di continuare.


Per ultimo, ma non di poco conto, voglio spendere qualche parola sulla sigla CUAV, il cui significato stento sempre a ricordare, Centro per UOMINI autori di violenza, e sul linguaggio giornalistico che punta al carnefice, ignorando ciò che da Freud e dunque da oltre 100 anni e’ stato scoperto sulla dimensione relazionale e familiare. Intanto nei CUAV vengono trattate anche donne con pena sospesa per reati di violenza. 


Stiamo assistendo ad una criminalizzazione di genere sui mass media e nel linguaggio. E ad un ridicolo pensiero degli uomini soggetti ad una cultura machista, patriarcale che è tramontata da qualche secolo, e lo hanno ribadito alcuni intellettuali in televisione, senza successo. Il fenomeno del femminicidio non è frutto della cultura patriarcale. Questa è una invenzione giornalistica, ideologica, a mio avviso frutto della cultura woke.

Piuttosto si tratta di un fenomeno che si presenza all'interno di una assenza di un modello familiare in sostituzione del tramontato modello patriarcale.


Del resto il mercato del lavoro che è anti familiare, costringendo il nucleo famiglia alla pressione di una cronica instabilità, che non consente alcuna seria programmazione sul futuro di una coppia e di una famiglia, che non protegge la donna lavoratrice vulnerabile nel momento in cui mette al mondo un bambino, e il welfare state ormai ridotto all'osso e che, per esempio, non offre gli asili nidi o il tempo pieno alle elementari, e dunque costringe la donna ad una prolungata assenza dal mercato del lavoro ed una conseguente impossibilità di rientrarvi cresciuta la prole ed una inevitabile dipendenza da un marito, sono gli imputati assenti nel fenomeno della violenza relazionale.


La stampa quasi sempre banalizza per oscurare le responsabilità politiche, presenta l'uomo maltrattante, la donna vittima passiva, senza scampo. E banalizza la perversione, relegandola a fenomeno straordinario, ma Freud ha ben spiegato che la perversione ci abita. Anche il linguaggio degli esperti chiamati a parlare in TV è volgare, parlano di narcisismo maligno. Sono termini che strumentalmente parlano alla pancia del telespettatore ma che non hanno alcun fondamento nella ricerca psicologica clinica.


Assistiamo ad una sorta di ideologia della coppia come fenomeno relazionale cristallizzato, come se nella coppia esista chi solo comanda, chi solo abusa e chi solo obbedisce e chi solo subisce. Non è cosi, sappiamo benissimo che non è cosi banale la questione e ho tentato di ripercorrere nel mio ragionamento la questione attorno alla necessità di offrire percorsi che riguardino la dimensione relazionale del fenomeno della violenza e di pensarli in un quadro politico che sia chiamato ad una responsabilità sulla tenuta sociale.

 
 
 

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