Farsi rispettare, temere, odiare. Cosa hanno in comune queste tre modalità relazionali
- Pier Luigi Lando
- 3 giorni fa
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Queste tre modalità di rapportarsi con un minore hanno in comune, con un rossiniano crescendo, un atteggiamento di pre-potere. Ma tutto al contrario di ciò che dovrebbe caratterizzare un rapporto educativo, ossia di servizio, al fine di prestare a un Io in evoluzione funzioni complementari. Funzioni queste di fondamentale importanza per l’acquisizione della fiducia di base (Erikson).
L’atteggiamento del farsi rispettare può fungere da alibi per posizioni di prepotere da parte di “educatori" - primari e secondari - che abbiano problemi di personalità., In particolare, come “personalità bisognosa di farsi valere”, annoverata da Kurt Schneider tra le dieci nel suo libro: Le personalità psicopatiche” Giovanni Fioriti Editore.
Quello di ribaltare una posizione di sofferta soggezione nei confronti di genitori autoritari, troppo direttivi, coattivamente tendenti a imporre un proprio progetto di personalità al/la figlio/a - confliggente con quello già naturalmente presente nel genoma - può essere un predominante motivo - sia pure inconsapevole.

Ad avere a ogni costo un figlio, ovviamente, come per tanti altri fenomeni, sussiste tutta una gamma di epifenomeni: da quelli borderline a quelli, pure con diversi gradi di gravità, patologici. Mediante il meccanismo di difesa adleriano della sovracompensazione, mascherando complessi o sentimenti di inferiorità, si iper-attivano atteggiamenti e comportamenti tesi a farsi valere e, mediante il meccanismo della formazione reattiva, si tende a mascherare ulteriormente un’inaccettabile pulsione, ricorrendo comportamenti opposti. Posizioni “up” (“Superior stabat lupus, inferior agnus”) della “normalità quotidiana” appaiono tradizionalmente consolidate e, forse ancora, prevalgono giustificate a fin di bene, cioè per incutere quel tanto di soggezione al minore che occorrerebbe, secondo certe vedute “educative”, per indurlo all’ubbidienza. Ubbidienza che potrà avere ripercussioni di vario genere sull’educando, a seconda dell’atteggiamento di fondo dell’educatore, giacché, ove sia sostenuto da suoi problemi, come quelli da rivalità fraterna repressa, potrà giungere ad assumere connotazioni da pedagogia nera.
L’obiettivo, sia pur a propria insaputa, del farsi temere potrà giungere così perfino a trarne soddisfazione sadomasochista, mentre il conseguente effetto del farsi odiare (atteggiamento per il quale tanti, da genitori a pubblici ufficiali, pare che seguano, con particolare zelo, speciali stage) rischierà di provocare effetti devastanti sulla personalità del piccolo (v. di Katharina Rutschky: Pedagogia Nera e di Morton Shatzmnan: La Famiglia che uccide.
Nonostante i disastrosi risultati dovuti alla pedagogia nera , ancora appare, in vario grado, prevalente la convinzione che i comportamenti disturbati e disturbanti – quanto per intendersi “cattivi”- possano essere contenuti, se non controllati e contrastati, adottando atteggiamenti di severo controllo, cioè reagendo con lo Stato dell’Io del Genitore Critico (V. su internet: concetto dell’Analisi Transazionale: “Stati dell’Io”) .
Altrettanto pregiudizievoli sulla personalità dei piccoli potranno risultare atteggiamenti di educatori che, forse per reazione a metodi autoritari subiti, assumono modi lassisti e, per un meccanismo di “identificazione proiettiva”, giungono eccessive posizioni giustificative e, addirittura di difesa di ogni comportamento trasgressivo dei figli anche nei confronti di docenti come quelli che, anche di recente, hanno avuto ampia eco scandalistica sui mass media.
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