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Lo psicologo ha l'obbligo di denunciare se a conoscenza di situazioni di abuso su soggetti vulnerabili, incapaci e minori

Immagine del redattore: NoraNora

Aggiornamento: 27 feb

Lo psicologo ha l’obbligo di denunciare situazioni di abuso su soggetti vulnerabili, incapaci e minori in base a diverse normative italiane che regolano la sua professione e la tutela delle persone fragili.


L'Art. 331 del Codice di procedura penale (Obbligo di denuncia da parte dei pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio) statuisce che, citiamo:

1. Salvo quanto stabilito dall'articolo 347, i pubblici ufficiali [357c.p.] e gli incaricati di un pubblico servizio [358 c.p.] che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. 4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l'autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.

🔹 Lo psicologo è un pubblico ufficiale se lavora in un ASL o in un ospedale pubblico) 


🔹 Lo psicologo è un incaricato di pubblico servizio se lavora in una cooperativa sociale convenzionata con il servizio pubblico


Contenuto e applicazione

Se il privato cittadino ha una mera facoltà (salvo determinati casi specifici) di denunciare un reato di cui abbia avuto notizia all’autorità giudiziaria, sui soggetti che rivestono qualifiche pubbliche (pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio) incombe invece l’obbligo della denuncia, relativamente ai reati perseguibili d’ufficio di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio o a causa, rispettivamente, delle loro funzioni o del loro servizio.

Salvo che non si tratti di reati punibili a querela della persona offesa, il mancato esercizio di tale obbligo, e cioè l’omissione di denuncia, fa scattare conseguenze penali, anche aggravate qualora si tratti di delitti contro la personalità dello Stato (ex art. 363 c.p.p.).

Affinchè sorga l’obbligo suddetto, la cui ratio è quella di consentire all’autorità giudiziaria di promuovere l’azione penale, è necessario che la conoscenza del fatto criminoso avvenga nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio e quindi  “in concomitanza o a cagione delle funzioni espletate” (Cass. n. 8937/2015; Cass. n. 26081/2008) e comunque “in dipendenza dell’attività svolta” (Pret. Ragusa, 7.10.1996). Se però il pubblico ufficiale o incaricato d ipubblico servizio “abbia notizia del reato in situazioni differenti, l’obbligo cessa e al suo posto sorge la facoltà di denunciare propria di qualsiasi cittadino” (Cass. n. 3534/2008).

La notizia di reato può essere acquisita anche in modo indiretto, ossia non basato sulla percezione immediata del fatto ma derivante da dichiarazioni di altri soggetti o da documenti. Secondo la giurisprudenza, anche una denuncia contenuta in uno scritto anonimo, pur se non può essere utilizzata probatoriamente, può e deve, in virtù del principio di obbligatorietà dell’azione penale “costituire spunti per l’investigazione del pubblico ministero o della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi gli estremi utili per l’individuazione di una valida notizia criminis” (Cass. n. 4329/2008). Allo stesso modo una “denuncia irrituale”, considerata perciò alla stregua di una denuncia anonima, anche se scritto di per sé inutilizzabile, è tuttavia “idonea a stimolare l'attività del p.m. o della polizia giudiziaria al fine dell'assunzione di dati conoscitivi atti a verificare se da essa possano ricavarsi indicazioni utili per l'enucleazione di una notitia criminis suscettibile di essere approfondita con gli strumenti legali” (Cass. n. 25932/2008).

Perché possa sorgere l’obbligo di comunicazione è sufficiente che il pubblico ufficiale ravvisi nel fatto il fumus di un reato.

Ciò che conta, in sostanza, è la conoscenza di un fatto storico, il quale, delineato nei suoi elementi essenziali, sulla base delle nozioni proprie del soggetto qualificato, integri, anche secondo una valutazione approssimativa, gli estremi di un reato, mentre non compete al soggetto qualificato venuto a conoscenza del fatto, il compito di decidere se lo stesso è punibile o meno o si riveli infondato: purché “presenti gli elementi essenziali di un reato” deve denunciarlo “non essendo indispensabile che la notizia di reato si riveli anche fondata nel successivo sviluppo procedimentale” (Cass. n. 8937/2015). Presupposto del concretizzarsi dell’obbligo di riferire è, dunque, “l’esistenza di una notizia di reato che, pur non necessitando la certezza o anche il dubbio circa l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie illecita – mentre - i giudizi di valore complementari al ‘fatto tipico’, vale a dire antigiuridicità e dolo, competono in via esclusiva all’autorità giudiziaria” (Cass. n. 12021/2014). Ciò non toglie che, laddove il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, di fronte alla segnalazione di un fatto avente connotazioni di possibile rilievo penale, “disponga i necessari approfondimenti all’interno del proprio ufficio, al fine di verificare l’effettiva sussistenza di una ‘notitia criminis’ e non di elementi di mero sospetto”, non è integrato il reato di cui all’art. 361 c.p. (Cass. n. 12021/2014; Cass. n. 37756/2014).

Allo stesso modo, l’obbligo sorge allorquando una pluralità di pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio venga a conoscenza contemporaneamente (o in tempi diversi) della notizia di reato. Il dovere della denuncia grava autonomamente su ciascuno di loro, salva la facoltà concessa dal terzo comma della disposizione in esame, di redigere e sottoscrivere un unico atto.

Quanto alla condotta punibile, l’omissione di denuncia si consuma anche con il semplice ritardo. Il secondo comma dell’art. 331 c.p.p. richiede, infatti, che la notizia venga trasmessa “senza ritardo”: criterio generico da intendersi verificato, integrando il delitto di omessa denuncia, allorquando la dilazione nella comunicazione della notizia di reato, fondata o meno che sia, incida negativamente sulla pronta persecuzione del reato, non consentendo al pubblico ministero qualsiasi iniziativa a lui spettante (Cass. n. 14465/2011).

La denuncia va presentata direttamente all’autorità giudiziaria o, con effetto liberatorio, “ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne” (cfr. art. 361 c.p.), intendendosi per tale “oltre a quella di polizia giudiziaria, un’autorità che abbia col soggetto un rapporto in virtù del quale l’informativa ricevuta valga a farle assumere l’obbligo medesimo in via primaria ed esclusiva”, come nel caso delle organizzazioni di tipo gerarchico, “che vincolano all’informativa interna, riservando a livelli superiori i rapporti esterni” (Cass. n. 11597/1995).

 

Giurisprudenza essenziale:

 

Cassazione penale, sentenza 13.1.2015, n. 8937

Integra il delitto di omessa denuncia previsto dall'art. 362 c.p. la condotta dell'incaricato di pubblico servizio che ometta di denunciare un fatto di cui sia venuto a conoscenza, in concomitanza o a cagione delle funzioni espletate, che presenti gli elementi essenziali di un reato, non essendo poi indispensabile che la notizia di reato si riveli anche fondata nel successivo sviluppo procedimentale.

 

Cassazione penale, sentenza 3.6.2014, n. 36635

La disposizione con la quale il giudice, ai sensi dell'art. 331, comma 1, c.p.p., ordina trasmettersi gli atti al pubblico ministero per l'eventuale esercizio dell'azione penale in ordine ad un fatto-reato, diverso e ulteriore rispetto a quello oggetto del giudizio, non è impugnabile, trattandosi di provvedimento avente carattere puramente ordinatorio e non decisorio, la cui adozione non pregiudica posizioni soggettive, comunque tutelabili in diversa sede. (In motivazione, la suprema Corte ha escluso che l'ordine di trasmissione possa essere affetto da abnormità strutturale, essendo conseguente all'adempimento di un dovere derivante da una specifica previsione normativa, ovvero da abnormità funzionale, non determinando alcuna stasi o indebita regressione del processo).

 

Cassazione penale, sentenza 6.2.2014, n. 12021

Non integra il reato di cui all'art. 361 c.p. la condotta del pubblico ufficiale che, dinanzi alla segnalazione di un fatto avente connotazioni di possibile rilievo penale, disponga i necessari approfondimenti all'interno del proprio ufficio, al fine di verificare l'effettiva sussistenza di una "notitia criminis", e non di elementi di mero sospetto.

 

Cassazione penale, sentenza 4.4.2008, n. 26081

L'omissione o il ritardo del pubblico ufficiale nel denunciare i fatti di reato idonei ad integrare il delitto di cui all'art. 361 c.p. si verifica solo quando il p.u. sia in grado di individuare, con sicurezza, gli elementi di un reato, mentre, qualora egli abbia il semplice sospetto di una possibile futura attività illecita, deve, ricorrendone le condizioni, semplicemente adoperarsi per impedire l'eventuale commissione del reato ma non è tenuto a presentare denuncia.

Obbligo di referto dello psicologo: significato e normativa

L'obbligo di referto per lo psicologo è regolato dall’Articolo 365 del Codice Penale e si applica quando, nell’esercizio della sua professione, lo psicologo viene a conoscenza di un reato perseguibile d'ufficio, come maltrattamenti, abusi su minori o persone incapaci.


Chiunque, avendo nell'esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d'ufficio, omette o ritarda di riferirne all'Autorità indicata nell'articolo 361, è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro.

Cosa significa l'obbligo di referto?

Il referto è una comunicazione scritta che lo psicologo deve inviare all’autorità competente (generalmente l’autorità giudiziaria o sanitaria) quando ha motivo di ritenere che una persona sia vittima di un reato grave, specialmente se vulnerabile (minori, anziani, persone con disabilità).


Quali reati obbligano al referto?

L’obbligo scatta per reati perseguibili d’ufficio, come:

  • Maltrattamenti in famiglia o verso minori (art. 572 c.p.)

  • Abuso sessuale su minori o incapaci (artt. 609-bis e seguenti c.p.)

  • Abbandono di incapaci (art. 591 c.p.)

  • Lesioni gravi o gravissime (art. 582 c.p., se aggravate)


Dispositivo dell'art. 591 Codice Penale

Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura(3), è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro. La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.

A chi va inviato il referto?

Lo psicologo deve trasmettere il referto alla procura della Repubblica o all'autorità sanitaria (ad esempio, il direttore sanitario della struttura in cui lavora).


Cosa succede se lo psicologo non fa il referto?

Se lo psicologo omette di fare il referto senza un valido motivo, può essere punito con una multa fino a 516 euro (art. 365 c.p.).


Ci sono eccezioni all'obbligo di referto?

Sì, il referto non è obbligatorio se esporrebbe la persona a un procedimento penale (ad esempio, se la vittima non vuole sporgere denuncia e non si sente tutelata). Questa valutazione è delicata e deve essere fatta con attenzione, rispettando il Codice Deontologico degli Psicologi.

In sintesi, l'obbligo di referto impone allo psicologo di segnalare all'autorità competente i reati di cui viene a conoscenza nell’esercizio della sua attività, ma con un margine di discrezionalità per proteggere la persona assistita.

soggetti vulnerabili

3. Normativa sulla tutela dei minori e degli incapaci

  • Legge 184/1983 (Diritto del minore a una famiglia)

    Se un minore è in una situazione di grave disagio o abuso, lo psicologo può segnalare ai Servizi Sociali o al Tribunale per i Minorenni.


  • Legge 119/2013 (Violenza domestica e stalking)

    Prevede un rafforzamento degli obblighi di denuncia per chi è a conoscenza di violenze, specie nei confronti di donne e minori.


In sintesi, lo psicologo ha un obbligo di denuncia se lavora in ambito pubblico e un obbligo di referto anche in ambito privato per i reati perseguibili d'ufficio. Tuttavia, deve bilanciare il dovere di segretezza con la tutela della vittima, valutando il rischio concreto.


Scarica il documento di approfondimento sulla tutela dei minori.


Approfondimento sul reato di circonvenzione di incapace

L'art. 643 del Codice Penale statuisce che:

Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 206 a euro 2.065.

In merito all'individuazione del bene giuridico tutelato dal reato di circonvenzione di incapace si fronteggiano in dottrina e in giurisprudenza principalmente due tesi.

Da una parte un orientamento c.d. "personalistico", secondo il quale il bene giuridico protetto dalla norma penale coinciderebbe con la dignità e la libertà di autodeterminazione dell'incapace, per cui ad essere leso non sarebbe tanto il patrimonio quanto l'interesse dello stesso alla libera esplicazione delle sue attività (cfr. in dottrina: Siniscalco, Antolisei, Ferrante, Ronco; in giurisprudenza: Cass. n. 1427/2004; Trib. Lecce 13.5.1991).

Dall'altra, un orientamento "patrimonialistico" che, partendo dalla collocazione sistematica del reato tra i delitti contro il patrimonio, individua il bene giuridico tutelato dalla norma nell'inviolabilità del patrimonio dell'incapace (cfr. in dottrina: Fiandaca, Musco, Pisapia; in giurisprudenza: Cass. n. 38508/2011; Cass. n. 41376/2010; Cass. n. 8908/1975; Cass. n. 1051/1967).

Non manca, tuttavia, in dottrina (cfr. Mantovani, Pagliaro, Romano) e in giurisprudenza (cfr. Cass. n. 17862/1988) chi lo considera un reato plurioffensivo, lesivo cioè sia dell'interesse patrimoniale del soggetto incapace che della sua libertà di autodeterminazione.


 
 
 

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