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Il legame tra reflusso gastroesofageo e ansia: un circolo vizioso da spezzare

  • Immagine del redattore: Nora
    Nora
  • 13 giu
  • Tempo di lettura: 3 min

Il reflusso gastroesofageo è una condizione molto diffusa che si manifesta con sintomi come bruciore retrosternale, rigurgito acido, difficoltà digestive e, in alcuni casi, dolore toracico simile a quello cardiaco. Si tratta di un disturbo cronico in cui il contenuto acido dello stomaco risale nell’esofago, irritandone le pareti. Ma se da un lato le cause organiche del reflusso – come l’indebolimento dello sfintere esofageo inferiore o l’eccessiva produzione di acido – sono ben note, negli ultimi anni la medicina ha cominciato a guardare con maggiore attenzione a un altro fattore meno visibile, ma spesso decisivo: l’ansia.

Molti pazienti affetti da reflusso riferiscono, infatti, un peggioramento dei sintomi in periodi di forte stress psicologico o in presenza di stati ansiosi. Al tempo stesso, convivere con una condizione cronica come il reflusso può contribuire ad alimentare l’ansia, creando un vero e proprio circolo vizioso difficile da interrompere.


Quando la mente influenza lo stomaco

L’asse intestino-cervello è ormai una realtà riconosciuta dalla medicina moderna. L’apparato digerente e il sistema nervoso centrale comunicano costantemente attraverso una fitta rete di segnali neurochimici, ormonali e infiammatori. In particolare, il sistema nervoso enterico – a volte chiamato “secondo cervello” – è strettamente legato all’attività mentale e può risentire significativamente di alterazioni del tono dell’umore, dell’ansia e dello stress.

In presenza di uno stato ansioso, l’organismo attiva la cosiddetta risposta di “attacco o fuga”: il battito cardiaco accelera, i muscoli si tendono, la digestione rallenta. Questa risposta, utile in caso di reale pericolo, diventa disfunzionale se attivata in modo cronico e non giustificato da una minaccia concreta. La tensione costante può alterare la motilità gastrica, aumentare la produzione di acido e rendere più sensibile l’esofago agli stimoli nocivi. Non sorprende, quindi, che l’ansia possa peggiorare i sintomi del reflusso o, in certi casi, esserne addirittura un fattore scatenante.


Ansia e percezione del dolore

Un altro aspetto importante da considerare è che l’ansia non influisce solo sulle funzioni gastrointestinali, ma anche sulla percezione del dolore. Numerosi studi hanno dimostrato che le persone ansiose tendono ad avere una soglia del dolore più bassa e una maggiore attenzione ai segnali corporei negativi. In altre parole, un piccolo fastidio può essere vissuto come un disturbo molto più grave. Questo spiega perché alcuni soggetti con reflusso lieve lamentano sintomi intensi e persistenti, pur in assenza di lesioni significative all’esofago.

Al contrario, in individui poco ansiosi o con una buona regolazione emotiva, lo stesso livello di acido gastrico potrebbe non generare alcun disagio. Questo dato suggerisce che, oltre alla cura farmacologica, è fondamentale considerare anche il profilo psicologico del paziente per ottenere un miglioramento reale della qualità della vita.


Il reflusso come fonte di ansia

Il rapporto tra reflusso e ansia, però, non è unilaterale. Se è vero che l’ansia può contribuire all’insorgenza e all’intensificazione dei sintomi gastrointestinali, è altrettanto vero che il reflusso stesso può generare o peggiorare uno stato ansioso. Chi soffre di questa condizione, infatti, spesso vive con la costante paura di un attacco notturno, di dover rinunciare a determinati alimenti o di essere colto da un improvviso bruciore in situazioni sociali imbarazzanti.

Inoltre, alcuni sintomi del reflusso – come il dolore toracico o la sensazione di nodo alla gola – possono essere facilmente confusi con segnali di patologie più gravi, come l’infarto o i disturbi respiratori. Questo può innescare reazioni di panico e accentuare l’ipercontrollo sul proprio corpo, generando un’ansia anticipatoria difficile da gestire.


Strategie integrate per rompere il circolo vizioso

Alla luce di tutto ciò, diventa evidente come il trattamento del reflusso gastroesofageo non possa limitarsi esclusivamente alla componente fisica. Gli inibitori di pompa protonica (IPP), pur rappresentando una risorsa fondamentale per la riduzione dell’acidità gastrica, non sono sempre sufficienti, soprattutto nei casi in cui la componente ansiosa è particolarmente marcata.

È quindi opportuno affiancare alla terapia farmacologica un approccio psicologico, che può includere tecniche di rilassamento, psicoterapia cognitivo-comportamentale o, in alcuni casi, il supporto di farmaci ansiolitici sotto controllo medico. L’attività fisica regolare, la meditazione, la respirazione diaframmatica e una dieta equilibrata possono anch’esse contribuire a ridurre sia l’ansia che i sintomi del reflusso.

Non va dimenticato, infine, il ruolo dell’educazione sanitaria: aiutare i pazienti a comprendere il legame tra mente e corpo, a riconoscere i segnali del proprio organismo e a gestire meglio lo stress quotidiano rappresenta un investimento prezioso nel percorso verso il benessere.


Conclusione

Il rapporto tra reflusso gastroesofageo e ansia è complesso, ma non insondabile. Si tratta di due condizioni che si influenzano a vicenda e che, se affrontate in modo isolato, rischiano di alimentarsi reciprocamente. Solo un approccio integrato, capace di considerare tanto gli aspetti biologici quanto quelli emotivi, può aiutare a spezzare questo circolo vizioso e restituire al paziente il controllo sulla propria salute. In un’epoca in cui la medicina tende (giustamente) a valorizzare la persona nella sua interezza, riconoscere il peso dell’ansia nei disturbi somatici come il reflusso è un atto di cura, oltre che di consapevolezza.

 
 
 

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