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Il percorso di psicoterapia di Giovanna

Aggiornamento: 9 giu 2023

Discuterò di un punto critico nel lavoro psicologico condotto con una cliente la cui caratteristica era quella di ricorrere con gli altri alla costruzione di una rete di autoinganni che le impedivano di poter risolvere le sue problematiche relazionali.


La cliente, che chiameremo con il nome di fantasia Giovanna, ha 32 anni. E’ figlia unica ed i suoi genitori sono due professionisti di successo che non erano mai in casa in quanto perennemente occupati nella costruzione di carriere importanti.

Fin dalle scuole elementari, Giovanna ha sempre tentato di avere ottimi voti, con lo scopo di ottenere l’attenzione del padre, verso il quale nutre ancora oggi una forte ammirazione.

La sua famiglia era divisa in due sottogruppi: da un lato la complice coppia genitoriale di rampanti professionisti, proiettati nella costruzione di un successo lavorativo, dall'altro la coppia figlia e vecchia governante, una donna – quest’ultima – descritta come rigida e controllante.


Una infanzia vissuta in solitudine


Giovanna ebbe una infanzia poco a contatto con il gruppo dei pari, ad eccezione delle ore passate a scuola. La governante, infatti, era – a causa della età – poco incline ad accompagnarla a casa dei coetanei, ed inoltre era stata istruita dai genitori della cliente, di non permettere a quest’ultima di invitare ospiti a casa in loro assenza.

Terminato il liceo – con l’aiuto economico della famiglia – ella andò a vivere da sola e si iscrisse ad una facoltà umanistica. Dopo la laurea, intraprese per un breve periodo la carriera di ricercatrice universitaria, per poi decidere di formarsi nel ramo bancario.

Ottenuto un lavoro come consulente finanziario in una banca, le difficoltà a relazionarsi con i colleghi e con i superiori erano risultate in un licenziamento. Fortunatamente la cliente era riuscita a trovare lavoro in un altro istituto bancario, ma ben presto anche nel nuovo ufficio cominciò ad avere forti attriti con colleghi e superiori.


Parole vuote


Dalle prime sedute di psicoterapia emerse subito una qualità evacuativa dell’eloquio della cliente, ed un modo di raccontare gli episodi di vita presente e passata confuso. Era enormemente faticoso ascoltarla e trovare uno spazio di riformulazione di quanto mi veniva detto anche perché Giovanna reagiva ai miei tentativi di portarla ad approfondire un discorso svalutando il mio lavoro, affermando che probabilmente avrebbe interrotto le sedute poiché non le sembravano particolarmente efficaci.

Il tono della voce era spesso declamatorio, e quando all'improvviso piangeva avevo l’impressione di assistere ad una recitazione.

Di fronte avevo seduta una persona che parlava ininterrottamente una lingua che la incastrava nella interpretazione di diversi personaggi. Si alternavano l’amica generosa ed attenta, una speranza dello sport, una esperta di cinema, una ricercatrice universitaria esclusa perché non raccomandata, una inesauribile ed eccellente professionista troppo spesso emarginata da colleghi incompetenti, una donna contesa da molti uomini, e così via.

Era l'anima bella, vittima del mondo, incastrata nella ripetizione incessante di dinamiche sempre uguali a se stesse ed in un perverso godimento derivante da una narrazione autocommiserante dei fatti.


Una nuova relazione


Giovanna iniziò ad aggiornarmi su di una relazione con un nuovo fidanzato, un medico di ottima famiglia. Mi raccontava dei suoi piani di andare in vacanza con lui, presentando questo come un chiaro “successo” a dimostrazione che tra lei e questo rampante professionista tutto andava nella direzione giusta, quella del legame serio che porta al matrimonio. Declamava in seduta la sua normalità, lei si poteva presentare come parte del club delle donne di ottima famiglia, che in quanto tali sono in grado di sposarsi con un rispettabile e ricco professionista di pari grado sociale, proprietario di un enorme appartamento in una zona bene della città, quindi tutti i presupposti per diventare di colpo felici e sbarazzarsi in un lampo del faticoso lavoro di introspezione e riflessione critica verso se stessi parevano essere a portata di mano.

Ebbi la chiara sensazione di subire una sorta di sfida, qualcosa che suonava come “Vedi, sto per coronare il sogno …. io sono normale, nessuno, tu soprattutto, può dirmi di non essere normale. Tra poco non mi servirai più”.

Rimasi silenziosa durante tutto il racconto con il quale concludemmo la seduta.

Quando Giovanna ritornò in seduta la volta successiva, si sedette e tacque per un po' e poi disse, quasi esplodendo, “Le devo dire qualcosa che lei ha capito, non andrò con questo ragazzo in vacanze, lui non mi vuole, io lo perseguito con decine di telefonate, pregandolo di vederci, e lui di rado accetta, facciamo l’amore e poi lui sparisce. Mi sento usata. Non sono fidanzata con quest’uomo”.

Le dissi che non avrei mai potuto capire che la storia era tutta inventata se non fosse stata lei a dirmelo e restò molto colpita da questo, quasi fosse impensabile per lei essere in grado di comunicare qualcosa di vero aldilà di tutto quel fiume di parole vuote.

Lavorammo in quest’ultima seduta sul bisogno che, in questi mesi, aveva avuto di costruire una immagine di donna da ammirare perché di successo con gli uomini.

Credo che ella scoprì in quella occasione e forse per la prima volta dall'inizio del nostro percorso, il sollievo che poteva trarre rendendo dicibili insieme a qualcun altro, altre parti di se stessa, nascoste e vulnerabili. Fu molto difficile affrontare questa fase con la cliente per la cruda durezza della atmosfera in seduta. Giovanna parlava con un tono carico di aggressività nei miei confronti. Mi aspettava al varco, come si usa dire. Attendeva un errore da parte mia, un giudizio fuori posto per partire in quarta.


Regressione nella fase avanzata del percorso di psicoterapia


Giovanna ebbe una regressione nella fase avanzata della psicoterapia e ritornò a raccontare in maniera ambigua e teatrale dei suoi successi lavorativi e della idealizzazione e successiva svalutazione degli uomini con cui si relazionava. Clienti e colleghi diventavano promessi sposi, poi fugaci amanti ed infine bastardi o pazzi che sparivano senza motivo. La cliente mi raccontava in ogni seduta del suo odio verso le colleghe donne, tenute sempre a distanza e siglate immediatamente come stupide e incompetenti, e del disprezzo che provava verso le mogli dei suoi amanti, appellate come “povere sceme”, “povere casalinghe”, “mantenute”.

Analizzando il suo non-rapporto con le donne, iniziammo ad avvicinarci ad emozioni molto cattive: la grande rabbia per essersi sentita negata come figlia prima di tutto dalla madre e come la rigida governante a cui i suoi genitori avevano delegato la tenuta della casa e della figlia, avesse contribuito a peggiorare la situazione.


Giovanna mi raccontava da un po’ di tempo che c’era la possibilità che lei ricevesse una promozione al lavoro e che i suoi manager le avevano comunicato l’intenzione della azienda di investire su di lei attraverso la promozione ad un ruolo con maggiori responsabilità e guadagni. Il racconto della delusione subita quando il suo manager le spiegò che era rammaricato ma che non poteva assolutamente offrirle la promozione in quanto lei non era arrivata ai risultati sperati, avvenne in un clima di sentita disperazione.

Solo rielaborando più volte il racconto con la cliente, capì che mai le era stata promessa una effettiva promozione, le sue speranze in tal senso avevano trasformato la realtà, ed ella aveva interpretato male alcune frasi della direzione aziendale.

Giovanna era dunque disperata perché era entrata in un vortice caotico in cui non riusciva più a distinguere verità e bugia. C’era o meno stato una proposta di promuoverla ad un ruolo lavorativo più impegnativo? Solo una parte della sua mente sapeva che questa era una menzogna figlia di un bisogno disperato di riconoscimento.


Il punto di svolta nel percorso di psicoterapia


Nella sessione che segnò un importante punto di svolta del percorso di psicoterapia, era rigida, come se si controllasse per non esplodere. Finalmente riuscì a dire tutto di un fiato che non riusciva a controllare l’impulso di perseguitare telefonicamente gli uomini che l'avevano abbandonata dopo un fugace incontro sessuale.

Iniziò così un periodo caratterizzato da momenti molto dolorosi e desolanti in cui Giovanna cominciava a stare a lungo in silenzio nelle sedute.

L’uso continuato di una comunicazione in cui tentava di illudere gli altri e se stessa che le cose andassero “alla grande” aveva perso senso. Non doveva parlare sempre, non era più necessario conformarsi ad una narrazione vendibile.

Diceva che stava cominciando a percepire un senso di vuoto insopportabile. Si sentiva risucchiata in basso, verso un buco nero, mi diceva che la mattina si svegliava con una sensazione di zavorra al collo.

La risalita da questo buco nero e divorante è stata segnata da momenti di paura paralizzanti. Aveva paura di provare sentimenti veri. Superata l’angoscia sperimentò finalmente la pienezza della tristezza. Fu un percorso difficile, perché la paura rappresentata da crisi di panico molto spaventose era un freno che non voleva mollare. Giovanna doveva essere certa che io ci fossi psichicamente per poter provare il senso pieno della tristezza, della gioia e della paura. E quando tutto questo pian piano successe, fu una liberazione. Pianse molto durante le sedute ed anche a casa da sola. Aveva finalmente avuto il coraggio di abbandonare quel luogo vuoto e freddo dove si era rintanata per tanti anni.

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