Mi trovo in una stanza, sembrerebbe un locale, un pub o qualcosa di simile.
Sono seduto su un divanetto.
Mi dirigo quindi verso l'uscita di questo locale. Oltre la porta c'è un corridoio semibuio e lunghissimo, e mi incammino verso l'uscita che si trova in fondo.
Ad un certo punto la porta di uscita si apre, e mi appare una figura femminile. Si trova ferma, immobile, sulla soglia, si chiama Elena, ed è priva di un occhio e della bocca. Al posto di questi, ha delle chiazze nere, che assomigliano alle macchie del test Rorschach.
Rimango terrorizzato, tanto che mi sveglio e rimango sveglio a ripensare al sogno, con la pelle d'oca. Quello che nel sogno mi ha terrorizzato, non è tanto l'aspetto di questa persona, il suo non avere bocca e occhio, quanto il fatto che non appena la vedo, capisco immediatamente che è esattamente la figura di cui qualcuno (non so chi) mi aveva raccontato a proposito di un suo sogno.
Quello che mi spaventa, quindi, è vedere nel mio mondo (che in quel momento percepisco come reale), qualcuno che arriva da un sogno.
Riporto la parte finale di un sogno raccontato da un mio paziente.
Quello che spaventa il paziente è constatare che nella sua vita reale qualcosa arriva da un sogno ed e' grazie alla psicoanalisi che questo e' finalmente possibile. La psicoanalisi apre alla ragione dell'inconscio e rende la vita ricca di un mondo sotterraneo e potente.
Il sogno, quindi l'inconscio entra in gioco nella consapevolezza di questo paziente ed ha le sembianze di una donna che ha il volto mascherato dal test proiettivo di Rorschach. Una ambiguità totale.
Il soggetto che osserva le macchie della maschera Rorschach deve interpretarle liberamente per dare loro un significato. Dunque, questo sogno del paziente rappresenta perfettamente la questione di una psicoanalisi, essere chiamati come soggetti analizzanti ad interpretare l'ambiguità del materiale proveniente dall'inconscio.
La storia del paziente e l'andamento della seduta nella quale ha riportato il sogno punta anche alla questione della angoscia nelle relazioni. Il colloquio era iniziato con il racconto di un avanzamento di carriera progressivo, che lo aveva portato a gestire più persone e ad avere di conseguenza maggiori responsabilità in azienda ed a performare quindi compiti tecnici ed operativi via via più complessi . La sua domanda, consapevole fosse frutto di una vecchia questione, ad inizio seduta era stata: Sono stato scelto dal mio capo e dall'azienda perché sono valido sotto il profilo tecnico ed organizzativo o perché sono sempre disponibile a carichi di lavoro sempre maggiori senza lamentarmi?
Durante l'infanzia, quando fu iscritto dalla famiglia ad una buona scuola privata, gli fu fatto credere per evitare che si preoccupasse del sacrificio economico familiare, che frequentava l'Istituto grazie ad una borsa di studio. Aveva creduto per un periodo di tempo che il preside dell'Istituto lo stimasse come allievo per la sua bravura.
Poi scoprì che la famiglia pagava regolarmente la retta e da li in poi si lasciò andare, e smise di impegnarsi come faceva in passato quando immaginava che il preside credesse nelle sue capacità. Per di più il paziente era orfano di padre, e dunque era per lui importante essere riconosciuto da figure maschili autorevoli.
Nel corso della psicoterapia questo dubbio su come l'altro significativo lo vedesse come persona era diventato un nodo centrale. Ed ecco che in questa seduta avviene una libera associazione tra il dubbio di come mi vede il capo e la donna senza occhio e bocca bensì con una maschera di macchie amorfe sul viso.
La questione è dunque, come mi vede questa persona mascherata se la sua maschera è completamente ambigua?
E' chiaro qui che lui è arrivato alla consapevolezza che l'altro non può che vedermi a seconda di ciò che io proietterò sul suo volto che nel sogno è una maschera ambigua, fatta di macchie senza senso, alle quali chi osserva da' un senso. Dunque lei mi vede nel modo in cui io darò senso a quelle macchie. Il terrore si affaccia nel sogno rispetto alla ambiguità totale della maschera.
Qui è svelata la questione chiave di una psicoanalisi, l'impossibilità di toccare il reale, i fatti non esistono. Esiste solo la interpretazione di ciò che vediamo, ma in se stessa la realtà non esiste. Questa consapevolezza porta, in tutti quelli che ci arrivano, ad una dose molto elevata di angoscia o terrore. E' ineliminabile il terrore in questi passaggi di consapevolezza.
Gli chiesi: Ma tu puoi davvero sapere cosa il tuo capo pensa di te o cosa io penso di te?
Mi rispose correttamente di no.
Ecco qui è il punto, noi rimaniamo nel dubbio e tale dubbio nevrotico è ciò che tiene il legame sociale. Il ritornare all'altro per capire, come conferma della mia operazione interpretativa, e ciò che ne deriva da questi feed back continui e necessari è la tenuta del legame con l'altro.
Lo psicotico, che non fa legame sociale, è certo di come l'altro lo veda. Può essere una proiezione interante negativa o interamente positiva. È da questa realtà pietrificata. dove non vi e' dubbio e vi e' una unica, inscalfibile interpretazione possibile del reale, che nascono i deliri paranoidei, mistici, l'erotomania, ecc...
Il nevrotico è nel dubbio perpetuo. Il lavoro analitico rappresenta un modo per imparare a mantenere tra le mani, per cosi dire, questo dubbio senza che esploda e ci paralizzi. Riuscire a contenere l'angoscia nel legame con l'altro.
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